Uno studioso tutto da scoprire

di Ottavio Cecchi

La cultura italiana deve ancora scoprire Giacomo Debenedetti. Se non lo ha fatto c’è una ragione, che direi organica. La cultura italiana è profondamente idealistica e letteraria, non afferra – o lo fa in termini riduzionistici, dando alla storia il compito di presentarsi come la scienza delle scienze – quel rapporto, che Debenedetti ha offerto alla nostra riflessione, tra scienza e letteratura, nel quale la scienza è la scienza: è la fisica dei quanti.

Dopo il superamento della fisica meccanicistica, dopo la relatività e il principio di indeterminazione, e dopo la fine del consolatorio principio di causa, l’uomo ha cambiato idea su se stesso: non è più il centro dell’universo. Così è cambiato anche il personaggiouomo, quel tal dei tali che ci viene incontro dalla narrativa, dal cinema, dalla poesia. La stessa narratività, nel senso non semplicemente letterario, è stata posta in discussione al di là di tutte le possibili alchimie sul linguaggio. Come sopportare ormai un romanzo consequenziale con tanto di dialoghi e di colloqui, di « egli disse » e « essa rispose ». ‘ E come sopportare le sofisticazioni del linguaggio che nascondono, o rivelano, la narratività a fior di pelle’. La narratività, al pari del sentimento secondo Musil, non può avere una determinatezza, un oggetto, pena la sua sterilità. Sicché il libro non può che essere indeterminato, sciolto dal principio di causa e dal continuum narrativo provvisto in anticipo di una fine e di un fine.

E vero che il personaggio-uomo è ancor vivo e vegeto perché lo scrittore non ha nessun altro santo a cui votarsi. Ma è anche vero che l’uomo di Kafka, l’uomo di Proust, l’uomo di Joyce e l’uomo di Musil (bisognerebbe indugiare su somiglianze e differenze) hanno fatto saltare le vecchie regole di un realismo che, per evitare il problema della realtà (o per rispecchiarlo secondo l’ideologia e i fini del Principe), si affidava al rapporto causa-effetto, alla narratività e alla determinatezza: al « verso dove » dell’umanità e della scrittura, ben noto del resto al narratore tradizionale, sia esso neorealista o neoavanguardista, che non potrebbe narrare se non conoscesse la fine e il fine della storia.

Debenedetti ha messo gli occhi in questo groviglio. La « Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo » un saggio scritto poco prima della morte, ne è la prova più evidente. Neorealisti e neoavanguardisti, fortemente indebitati gli uni e gli altri con la tradizione del realismo e dello storicismo, critici accademici e militanti che non riescono a muovere un passo tra le pagine di un libro senza invocare la società e la storia, come potevano, come possono leggere Debenedetti’ Lo sentono estraneo, non è uno di loro. E hanno ragione, perché Debenedetti fa parte di ben altra famiglia, e qualche nome si è già fatto.

Se ne potrebbe aggiungere un altro, quello di Raymond Queneau, che nella Petite cosmogonie portative ha cercato di fare « non solo – riferiamo parole sue – una poesia che abbia la scienza come argomento, ma in cui anche il linguaggio della scienza sia tramutato in poesia ». Ma per quell’honnéte homme che è da noi lo scrittore e il critico « ancora oggi – è di nuovo Queneau – la scienza è un insieme di giochetti, giochetti inquietanti in mano a persone bizzarre che si chiamano ‘scienziati’, e il più famoso di questi giochetti è naturalmente la bomba atomica ». Onestamente, non si può chiedere a questo honnéte homme di accettare l’opera di uno scrittore e critico come Debenedetti, che ha scritto bizzarrie, come, per esempio, quella concernente una scienza e una letteratura che ci inviano lo stesso messaggio.