L’esordio del critico

di Enrico Ghidetti

Amedeo ed altri racconti segna nel 1926 l’esordio letterario di Giacomo Debenedetti, garante Umberto Saba che dei dubbi e delle incertezze dell’amico era riuscito ad avere ragione. Un esordio che, per essere avvenuto all’insegna delle edizioni del « Baretti », poco tempo dopo la morte di Gobetti, era già di per sé altamente significativo di un clima, di una cultura, di una scelta di campo irreversibile.

Un esordio che fu salutato da contrastanti reazioni, ché il vecchio Svevo, al centro del più clamoroso ‘caso’ della letteratura europea protonovecentesca, commenta laconico: « Lessi qualche poco e mi dispiacque »; mentre il giovane Montale, nello stesso torno di tempo, profetizza: « Quando avrai dato il tuo libro definitivo (…) vedrai che anche i ciechi torneranno con altri occhi all’Amedeo, e s’accorgeranno di parecchie cose ». E che « parecchie cose » fermentassero ancora in quelle pagine dimostra la decisione dell’autore di ristampare il racconto da cui si intitolava il volume trascorso il quarantesimo anno dalla prima edizione; il libretto vide la luce il 20 febbraio 1967, ad un mese esatto di distanza dalla morte di Debenedetti.

Perché evocare dalle nebbie del tempo quel personaggio « senza qualità », esibendone puntigliosamente in nota le patenti morali e culturali nell’Essai sur le données immediates de la coscience di Bergson e nelle Operette morali del Leopardi.
Fu solo un atto di sfida nei confronti dell’impietoso giudizio di Svevo (« Molto meditativo quel signore e poco portato al racconto »…), o un atto di indulgenza nei confronti di quel giovanile personaggio-emissario, di commossa sollecitudine per una remota e rarefatta immagine di sé, inesorabilmente velata dal trascorrere del tempo.

Rileggendo oggi quelle pagine (che presto, con altre inedite, saranno ripubblicate per cura di chi scrive) si apprezza, col facile senno di poi, la persuasività del precoce esame di coscienza di una generazione, ma soprattutto si rimane coinvolti nel tentativo di indagine degli strati più profondi della psicologia dell’inetto e dell’ebreo alle soglie della vita adulta: una lucida descrizione della tattica e della strategia di Narciso al fonte, la diagnosi di una immedicabile nevrosi, appunti per la regia di un fallimento presagito. Infatti nel cerchio magico della nevrosi nel quale sembrano cristallizzarsi inclinazioni e virtualità, Amedeo è prigioniero del segreto miraggio di un indeterminato privilegio a tratti intorbidato dall’impazienza dell’attesa di una rivelazione di là da venire, che esclude come superflui ogni progetto ed ogni scelta.

Ritratto di un adolescente senza qualità che acquista tuttavia il significato inquietante di un esorcismo per allontanare un fantasma intravisto in una bruma fitta di angoscia, Amedeo può essere letto come il verbale di un improvviso armistizio stilato fra l’autore e il suo doppio. Per questo il personaggio adolescente si ripresentò a Debenedetti nella primavera del ’44, ad esigere che lo scrittore desse un seguito a quell’inizio, accompagnandolo fino alle soglie del campo di sterminio, al quale si era rivelato ideale « candidato psicologico », e tornò ancora di fronte al suo autore, quasi un quarto di secolo dopo, per suggellare, in articulo mortis, con una pace perpetua, una ritrovata unità fuori del tempo.