Intervista a Renata Orengo Debenedetti

di Rosita Tordi Castria


<< …
Giacomo era molto timido e vulnerabile, molto dubbioso di sé; non aveva avuto le conferme che si aspettava … >>

sono le prime battute di una rievocazione assai intensa che a tratti diventa una riflessione critica estremamente efficace di Renata sulle vicende del suo facile-difficile rapporto con Giacomo, dal primo incontro al Teatro Regio di Torino, in occasione della rappresentazione dei Maestri Cantori di Norimberga.

<< Finita la guerra del ’15-’18, si era riaperto il Teatro Regio e Torino era invasa da un vero fervore musicale, specialmente tra i giovani, i cui divertimenti, in quella città ai piedi delle Alpi, erano l’alpinismo e la musica. Così mia sorella e io fummo, una certa sera, accompagnate con due enormi spartiti ad assistere ai Maestri Cantori. Un giovane seduto accanto a noi, resosi subito conto che dopo le prime battute ci eravamo ‘perse’ in quel ginepraio di note e di temi, incominciò a voltarci le pagine e a segnare col dito il punto in cui eravamo.

Giacomo aveva allora diciotto anni, io ne avevo dodici. L’incontro doveva ripetersi per diverse sere, galeotti sempre i Maestri Cantori.

Mia madre, una russa straordinariamente colta e intelligente, incominciò a trovare nel ragazzo che era allora Giacomo – studente del Politecnico – un ascoltatore appassionato al quale lei apriva il suo mondo, un mondo letterario internazionale.

In quegli anni la casa editrice Slavia stava preparando la traduzione italiana di Guerra e Pace, mentre circolavano le prime traduzioni francesi di Dostoevskij dell’editore Plon. E fu sempre mia madre a suggerire a Giacomo di leggere nel 1921 Tre croci di  Tozzi.
Potevo vedere Giacomo soltanto una volta alla settimana, ma lui mi spediva ogni giorno una lettera.
Questa consuetudine si è protratta per molto tempo: conservo tutte quelle lettere, divise per anni. >>

D . Non ritiene che la frequentazione dell’opera di Wagner, ma in generale l’amore per la musica, particolarmente per la musica teatrale, abbia svolto un ruolo decisivo nella formazione dello scrittore e del critico

<< Senza alcun dubbio la musica è un elemento di straordinaria rilevanza nel percorso critico di Giacomo e in particolare proprio la musica di Wagner. Credo si possa dire che coesistono in lui l’amore per una musica magica, alla quale si affida per arrivare a creare la infinita melodia della pagina – e in questo senso la bacchetta magica è la musica di Wagner – e la tempo stesso l’amore per la musica italiana che su di lui esercita un fascino quasi doppio: la musica italiana è il melodramma, cioè l’equivalente del romanzo, che in quegli anni in Italia non esiste e comunque è ancora fortemente scoraggiato.

Io credo insomma che Giacomo coltivi un amore tutto segreto per quella musica – Mozart prima e Wagner poi – che deve condurlo a realizzare la melodia infinita nella struttura infinita della pagina, una pagina cioè che non si ferma, ma va avanti e scopre tutti i possibili nessi tra il pensiero e come viene espresso, per eterne digressioni, per continui ‘aprirsi’, come avviene nella musica di Wagner o nel Cavaliere della rosa di  Strauss;  e al tempo stesso la musica come romanzo, come struttura narrativa e cioè per il melodramma italiano da Verdi a Puccini.

Direi anzi che quel che lo incanta della cultura italiana sono soprattutto Verdi, Puccini e De Sanctis. >>

D . Sappiamo che i frequentatori più assidui di casa Debenedetti a Torino sono Casorati, Carlo Levi oltre ai collaboratori della rivista ‘Primo Tempo’, da Solmi a Sacerdote a Sapegno ai poeti di cui egli è stato  esigentissimo lettore o di cui ha incoraggiato gli esordi, come nel caso di Montale; ma dopo il trasferimento a Roma, negli anni Trenta, quali sono gli amici scrittori che più frequentano la vostra casa all’Aventino e poi alle spalle di Piazza Navona

<< Tra i più assidui è certamente Alberto Savinio. Ricordo le lor strane conversazioni: entrambi timidi e assai vulnerabili, stavano attenti a non ferirsi; direi anzi che non facevano che complimentarsi.

E’ stato Savinio a disegnare la copertina di 16 Ottobre 1943. Ma l’amico con il quale Giacomo aveva delle conversazioni lunghissime, direi viscerali, era Roberto Bazlen.

E certamente negli anni romani, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, molto importanti, direi determinanti, sono stati i rapporti con il dottor Barnard. Molto spesso, forse più volte alla settimana, Giacomo si recava in via Gregoriana nella casa del dottor Barnard, da lui allora e sempre, fino alla fine della sua vita, considerato il Maestro, cului che sapeva elargire cultura e saggezza. >>

Renata Debenedetti si alza, mi indica il nucleo originario della ricchissima biblioteca di Giacomo: sono quasi esclusivamente libri francesi, da Montaigne a Flaubert – cito a caso – a Valéry a Proust o tradotti in francese quali l’amatissimo Freud e si congeda lasciando intendere che soltanto lo scontro tra la crudeltà dell’intelligenza e la realtà può aiutare a capire quale fosse il mondo di Giacomo Debenedetti.