Presentazione di Rosita Tordi

‘Quando nel fantasticar di Sigfrido sotto il tiglio, la nostalgia; della madre si colora di erotismo, quando Mime cerca di spiegare al discepolo la paura, mentre in orchestra echeggia oscuramente deformato il motivo di Brunilde addormentata tra le fiamme, abbiamo Freud: psicoanalisi, nient’altro che psicoanalisi’

E’ uno straordinario passaggio del saggio di Thomas Mann Dolore e grandezza di Richard Wagner, che per noi è impossibile rileggere disgiunto dalle emozioni, dall’invincibile stupore con cui l’ascoltammo dalla voce di Debenedetti seguendo il suo corso di lezioni, nella Facoltà di Lettere dell’Università di Roma ‘La Sapienza’, sulle vicende del personaggio uomo nell’arte moderna.

Quel suo modo di porgere, di modulare le parole, senza ‘rotondità’ di accenti, era accompagnato da uno sguardo che il suo amico Alberto Savinio non avrebbe esitato a definire ‘misterioso’, ‘sguardo doppio’, fermo sull’oggetto in esame e al contempo’riguardando di là da questo, mirandone lo spettro’ che è inquanti ‘il guardare costituisce un’operazione illuminata, consapevole’.
Non si intende riproporre la annosa quaestio delle mancate adesioni, in vita, al critico e all’autore di scritti di testimonianza tra i più alti sulla tragedia che ha colpito il popolo ebraico negli anni tra le due guerre, in particolare il folgorante racconto 16 ottobre 1943, ma piuttosto mettere subito in guardia sui pericoli di una ‘eccessiva’ condiscendenza postuma, di quella ‘persecuzione d’amore’ che Debenedetti stesso  stigmatizza a proposito dell’atteggiamento diffuso nell’immediato secondo dopoguerra nei confronti degli ebrei.

E’ comunque certamente una ‘colpa’ non aver inteso ‘prima’ che lo schema interpretativo debenedettiano non è sbrigativamente riportabile entro i limiti di una lettura psicoanalitica dei fenomeni letterari, dei personaggi e dei loro autori, ché la esigenza di cogliere le interrelazioni tra dinamica psichica e dinamica culturale, di scoprire conferme in campi estranei all’arte, è connaturata al suotemperamento di scrittore e critico ‘genialmente eretico’. E’ sua preoccupazione costante di chiarire il senso e la funzione delle esperienze artistiche proprio in quanto inserite entro un più ampio quadro antropologico-culturale in cui sono ogni volta in gioco anche altre istituzioni culturali.

Le sue preferenze vanno sempre a quegli scrittori che moltiplicano i loro sforzi per afferrare l’io nel momento in cui le circostanze gli sottraggono la vecchia forma e gliene impongono una nuova.  Viene alla mente il suo Montaigne: ‘Io non ritraggo l’essere, ritraggo il passaggio ‘. E con una strategia dacalcolo infinitesimale, che traduce un’esperienza non visiva in termini omogenei e visivi, Debenedetti traduce in un discorso complesso, senza mai essere oscuro,in un linguaggio denso di suggestioni e mai effusivo, i suoi tentativi perpenetrare in quelle che Leibnitz chiama le entità infinitamente piccole, fino a risalire al nucleo originario dell’opera.

Recita il suo Diario  postumo, uno scritto del 1930 pubblicato in ‘ L’Italia letteraria‘ (11 e 18 maggio): ‘Il colmo della nostra abilità deve consistere in una chiarezza apparente e traditrice Thomas Mann ha battezzatecol nome di Tonio Kroeger . Ma ogni fatto nuovo e importante del nostro destino,ogni risoluzione passionale, ogni fuga col nostro amore deve costarci unadi queste crisi religiose. Tutto sta nell’aver la forza di di rinchiuderedentro di noi siffatte crisi riducendole ad episodi gelosamente personali:nell’aver la fermezza di respingere qualunque specie di testimoni e di confidenti’.

‘Illuminista dell’irrazionale’, secondo la bella definizione di Gianfranco Contini , saggista, critico militante e autore di racconti fino dagli esordi nella Torino gobettiana dove i suoi compagni di strada rispondono ai nomi di Solmi e di Sapegno e dei giovani collaboratori di ‘Primo Tempo ‘, negli anni Cinquanta e Sessanta docente  universitario prima a Messina poi a Roma, direttore editoriale del ‘Saggiatore ‘, Debenedetti ha esteso la sua indagine, fuori della letteratura, allamusica teatrale, alle arti figurative, al cinema, alle scienze, proponendoun ‘metodo non metodico’, secondo la definizione pasoliniana, capace di aperturestraordinarie sui testi in esame e tale da disegnare una avventura letterariache si legge tuttora con una invincibile sensazione di scoperta.