Nota autobiografica

di Giacomo Debenedetti nato a Biella nel 1901

Terminato a sedici anni il Liceo Classico, si iscrisse al Politecnico di Torino. Frequentò il “biennio”, superò tutti gli esami. Ma le lodi e gli incoraggiamenti di insigni scienziati e matematici, quali l’Armellini, il Maiorana, il Fano, il D’Ovidio non bastarono a vincere il suo timore di essere portato alle scienze esatte solo da una sorta di dilettantismo estetico. Leggeva frattanto critici e poeti; per prendere tempo e tenersi aperte le possibilità di un lavoro pratico, si iscrisse alla facoltà di Legge, sempre a Torino. E qui, guidato da Gioele Solari, si laureò nel 1921 con una tesi sulla “Filosofia civile di G.D. Romagnosi”. (Pieni voti, lode, premio Dionisio.)

All’Università e fuori, conobbe allora Piero Gobetti, che gli concesse fino all’ultimo un’amicizia polemica e fraterna. (Più speculativo, più impegnato in lucidi e ardenti interessi etico-politici, il Gobetti rimproverava a D. un certo “erasmismo”.) In quegli stessi anni, D. cominciò a scrivere un lungo racconto, che era piaciuto al Prezzolini, ma poi rimase inedito, un saggio sul metodo critico, d’impronta curiosamente bergsoniana, rimasto anch’esso inedito.

Nel gruppo di giovani, che allora si venivano affermando a Torino, emergevano Natalino Sapegno, Mario Fubini, Federico Chabod, Edmondo Rho, Carlo Mazzantini e altri. Fu un periodo di dialoghi appassionati, animati dalla tensione culturale promossa dal Croce, dal Gentile e anche in parte dal Salvemini. I temi di quei dialoghi sono rievocati, di scorcio, nella “Probabile autobiografia di una generazione” letta da D. a Venezia nel 1948, al Congresso del PEN Club, e poi pubblicata come prefazione alla seconda edizione milanese dei Saggi critici, prima serie.

Nel 1922, con Sergio Solmi e Mario Gromo, D. fondò la rivista letteraria “Primo tempo”, che ebbe l’onore di pubblicare le Stagioni, nonché alcune prose di Giuseppe Ungaretti, di offrire a Montale il battesimo del pubblico, di dare per intero tre raccolte di sonetti di Umberto Saba. A “Primo tempo” collaborarono, tra altri scrittori di alta fama, anche Camillo Sbarbaro, Carlo Linati, Ernesto Buonaiuti, Max Ascoli ecc. Su questa rivista D., che aveva appena esordito con qualche noterella e recensione su piccoli periodici, fece le sue prime armi di critico letterario. Alcuni di quegli studi si possono ritrovare nella prima serie dei Saggi critici; altri invece non sono più stati raccolti: tra questi, un ampio ritratto di Carlo Linati e un discorso su Boine, del quale apparve soltanto un primo capitolo.

I problemi religiosi proposti dalla complessa opera del Boine, continuarono a occupare D. anche negli anni successivi. Di qui, certi suoi tentativi di approfondire il significato dell’ebraismo, la portata e il valore del movimento sionistico (egli ebbe agio allora di incontrare il Weizmann, il filosofo Gomperz e altri). Di qui, un ciclo di sei conferenze sui Profeti di Israele, lette in varie città, ma poi rimaste manoscritte, perché altri impegni, più specificamente letterari, impedirono a D. di procurarsi gli strumenti filologici, indispensabili a dare più preciso fondamento a simili ricerche.

Sempre in quel periodo, D. prese a collaborare ad altre riviste, come il “Convegno” di Ferrieri, “Il Quindicinale” di Somaré ecc. Gobetti aveva frattanto fondato il “Baretti”, dove D. pubblicò i suoi primi lavori sulla letteratura francese contemporanea (quelli su Radiguet, il “Proust 1925″‘ ecc.). Successivamente, fece parte del gruppo di “Solaria” e contribuì con assidue note critiche all’ “ltalia letteraria” di Fracchia e poi di Angioletti. In via del tutto episodica, si interessò anche di critica d’arte, con saggi su Casorati, Menzio, Spadini. Nel ’26 pubblicò (edizioni del “Baretti”) quattro operette narrative, sotto il titolo Amedeo e altri racconti. Nello stesso anno iniziò, con elzeviri e regolari rubriche, la propria collaborazione alla “Gazzetta del Popolo”: l’allora capo redattore, per evitare omonimie, volle che egli assumesse uno pseudonimo. D. scelse quello di “Swann”.

Da anni, D. era iscritto alla Facoltà di Lettere di Torino. Aveva scelto il ramo “filologia classica”, per poter contribuire con la debita preparazione allo studio delle letterature classiche che si andava allora impostando sulla base del metodo estetico. Viceversa, nel ’27, decise di laurearsi. Presentò una tesi sul D’Annunzio (ora pubblicata nella seconda serie dei Saggi critici, Il edizione). Il lavoro, aspramente discusso da Vittorio Cian, fu poi approvato con lode, grazie anche ai calorosi interventi di Lionello Venturi.

Come “secondo mestiere” D. aveva scelto frattanto il cinematografo; che poi (con parecchie decine di soggetti e di sceneggiature) gli permise di vivere in anni, durante i quali gli era interdetta ogni altra attività.

Fu il lavoro cinematografico, e in particolare l’Enciclopedia del Cinema (purtroppo, non mai uscita) e la rivista “Cinema”; furono soprattutto gli inviti di Rudolf Arnheim a far sì che D. si trasferisse, nel 1936, a Roma. Nel 1937, egli fu tra i fondatori e condirettore del settimanale “Il Meridiano di Roma”, dove tenne una rubrica ebdomadaria di letteratura italiana contemporanea: quegli scritti sono, in gran parte, ripubblicati nei Saggi critici seconda serie, sotto il titolo Verticale del ’37.

Trascorse i mesi dell’occupazione tedesca nei pressi di Cortona, con Pietro Pancrazi e Nino Valeri. Nel maggio-giugno ’44 gli riuscì finalmente di unirsi alle formazioni partigiane, che operavano nell’Appennino toscano. Durante l’inverno aveva studiato l’Alfieri e, sull’argomento, aveva compilato un lungo scritto, di cui solo qualche parte è comparsa su riviste (un capitolo sui sonetti nel n. 1 di “Poesia”, l’introduzione sulla “Fiera letteraria”, la “Nascita delle tragedie” sulla fiorentina “Letteratura e Arte”), ma nulla è stato ancora raccolto in volume.

Tornato a Roma dopo la liberazione, D. scrisse un opuscolo intitolato Otto ebrei (Atlantica editrice, 1944), a cui Carlo Sforza volle generosamente premettere una solidale prefazione; un resoconto delle razzie nel ghetto romano: 16 ottobre 1943 (rivista “Mercurio” 1944, poi OET Roma, 1945; poi “Libera Stampa”, Svizzera, 1945; poi in traduzione francese su “Temps modernes” di Sartre; poi su “Galleria”, numero per il decennale della liberazione); diede alle stampe la seconda serie dei Saggi, rimasta per anni in bozze (la prima serie era uscita nel ’29 per le edizioni di Solaria). Per circa un anno fu redattore capo del quotidiano indipendente “L’Epoca”, che si fece notare come giornale “più scritto” tra i molti fogli comparsi in quel tumultuoso periodo di riassestamento della vita nazionale. Tenne la rubrica di letteratura francese sul settimanale romano “La Nuova Europa” (scritti su Gide, su Valéry ecc.). Diede anche un lungo saggio su Camus ai primi tre numeri della rivista “Comunità”. Poi fu chiamato, come unico redattore dei “testi parlati”, dal cinegiornale “La Settimana Incom”. Furono dieci anni di aspro lavoro, che D. non ritiene del tutto perduti: giacché gli permisero, soprattutto nei primi quattrocento numeri di quel cinegiornale (ne compilò più di milleduecento), di tenere desta una viva conversazione col pubblico; nella quale speranze, aspirazioni e difficoltà di un popolo in via di risorgere dalla guerra venivano espresse e precisate, sulla notizia “visiva”, con spigliata e il più possibile amena, ma non frivola, concretezza. Le stazioni televisive americane trasmisero per anni le notizie della vita italiana col commento del D.

Nel 1950 gli veniva affidato, per incarico, l’insegnamento della Storia della Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea all’Università di Messina. Tenne corsi su Svevo, Verga, Pascoli. Frammenti di questi corsi possono vedersi nel saggio Presagi del Verga (“Nuovi Argomenti”, n. 11, 1954); in Statura di poeta (“Omaggio a Pascoli”, Mondadori, 1955); e in una trasmissione radiofonica, ancora sul Pascoli (RAI, Terzo Programma, 31 dicembre 1955). Il rimanente è ancora inedito. Ebbe poi per un anno l’incarico di Lingua e Letteratura Francese alla Facoltà di Magistero, sempre di Messina: tenne un corso sugli Essais di Montaigne, parzialmente raccolto in dispense.

Durante gli stessi anni, D. scrisse parecchi saggi, per lo più comparsi su varie riviste (“Il Pensiero Critico”, “Nuovi Argomenti” ecc.). Insieme con gli articoli di critica contemporanea, settimanalmente usciti tra il ’46 e il ’48 su un quotidiano di Roma, essi comporranno la terza serie dei Saggi critici, in corso di pubblicazione presso i Fratelli Parenti Editori. (Le prime due serie sono state ristampate da Arnoldo Mondadori Editore, rispettivamente nel 1952 – Coll. “Il Pensiero Critico”, e nel 1955 Coll. “B.C.M.”.) È uscita a parte (Macchia ed., Roma, 1953) la Radiorecita su Marcel Proust, tentativo di “mettere in onda” un discorso critico attraverso un dialogo tra vari personaggi, ciascuno definito con un proprio carattere, e di sottolineare i movimenti della “recita” con citazioni musicali suggestive o allusive.

Ringrazio Renata Debenedetti per aver consentito la pubblicazione di questa nota autobiografica ascrivibile al 1957. Ritengo peraltro utile fornire alcune notizie biografiche relative all’ultimo decennio (1957-1967).

Giacomo Debenedetti consegue la libera docenza in Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea nel 1957. Nel marzo dello stesso anno si reca a Mosca per le celebrazioni goldoniane; il 10 dicembre commemora Umberto Saba al Circolo della Cultura e delle Arti di Trieste. Nel 1958 riceve l’incarico di Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma. Intensifica i suoi rapporti con il mondo editoriale, collaborando con Alberto Mondadori alla fondazione e direzione della casa editrice “Il Saggiatore”. Cura l’edizione mondadoriana delle opere di Joyce. Scrive, in occasione del centenario pucciniano, il saggio Puccini e la “melodia stanca”, ora in Il personaggio-uomo. L’anno successivo pubblica i Saggi critici. Terza serie. Nel novembre del 1962 tiene un corso, all’Università di Budapest, sulla poesia italiana contemporanea.

Nel 1963 pubblica Intermezzo. Partecipa, a Leningrado, a una tavola rotonda, organizzata dalla comunità europea degli scrittori, con la relazione Un punto d’intesa sul romanzo moderno? (ora in Il personaggio-uomo). Nel settembre dello stesso anno, in occasione del 3° Congresso dell’Accademia italiana di medicina forense a New York, legge il saggio Il personaggio-uomo nell’arte moderna, ora in Il personaggio-uomo. Per il Teatro Stabile di Genova riduce Il diavolo e il buon Dio di Sartre. Nella Sala del Comune di Siena legge il saggio sul romanzo di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi, ora in Il personaggio-uomo.

Nel 1965 interviene, a Venezia, a una tavola rotonda organizzata in occasione della Mostra del Cinema, con la relazione Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo, ora in Il personaggio-uomo. Partecipa nello stesso anno insieme a Gianfranco Contini alle celebrazioni dantesche al Bolscioi Teatr di Mosca.
Nel maggio dell’anno successivo discute, all’Università di Cracovia, una tesi di laurea sulla narrativa di Vittorini. Il testo della sua relazione è ora in Il personaggio-uomo. Nell’estate partecipa, a Berlino, a un dibattito sulla letteratura contemporanea; nell’occasione visita Buchenwald. Nello stesso anno pubblica, nelle edizioni Sugar, la traduzione italiana del testo di Henry Miller Il tempo degli assassini. Nella notte del 31 dicembre è colpito da infarto. Il 20 gennaio del 1967 Debenedetti muore nella sua abitazione romana di via del Governo vecchio. (1)


NOTE
 
1. Cfr. Giacomo Debenedetti 1901-1967 a c. di C. Garboli, Milano. Il Saggiatore, 1968;
cfr. anche l’intervista a Renata Orengo Debenedetti in La critica trasgressiva di G.D., a c. di R. Tordi, “L’Informatore librario”, aprile-maggio 1982 (con interventi di O. Cecchi, E. Ghidetti, E. Golino, A. Bevilacqua, W. Pedullà e R. Tordi).